I MALGHESI: UN'ODISSEA MILLENARIA TRA MONTAGNA E PIANURA
Mandria bovina al pascolo nella campagna di Liscate, 2006
La Bassa Milanese intorno a Melzo, Melegnano, San Giuliano Milanese e Binasco, il Pavese, l'Alto Lodigiano, il Cremasco e la Bassa Bresciana costituivano la polarità meridionale del collaudato sistema di transumanza che almeno dal Medioevo collegava le vaste e pingui praterie della bassa pianura transpadana alle vallate prealpine. Alta e media Val Brembana, Val Taleggio, Val Brembilla, Val Serina, Valsassina e Val San Martino (lecchese, e non bergamasca, la penultima) e, meno di frequente, Valtellina di versante orobico, Valle Imagna, Val Seriana, Val Gandino e Val Goglio erano le sorgenti dei flussi migratori stagionali, umani e animali, che la documentazione scritta testimonia fin dal XIV secolo, ma che certamente risalivano a molto più indietro nel tempo.
I cosiddetti bergamini (o malghesi) - allevatori di bovini nativi delle valli alpine meridionali - provenivano tutti da questi ecosistemi montani saldamente imperniati sulle malghe, le praterie ubicate in quota in cui da aprile a ottobre stazionavano e pascolavano, disaggregate, le mandrie di loro proprietà (mucche da latte e vitelli). Da ottobre fino all’aprile successivo, il bestiame veniva raggruppato e gli uomini scendevano a valle conducendo gli animali e dirigendosi verso la lavoratissima e fertilissima pianura irrigua tra il Ticino e l’Oglio (ma, tavolta, persino oltre il Po). Qui, i malghesi si installavano per mesi presso le possessioni milanesi, pavesi, lodigiane, cremasche e bresciane con cui avevano preso l'accordo: e qui - espertissimi ed eccellenti allevatori - collaboravano con gli imprenditori affittuari nella gestione delle stalle e della produzione lattiera. Più raramente, e meno organicamente, famiglie di origine malghese prendevano stanza anche nella Brianza comasca, lecchese e monzese o nell'Alto Milanese occidentale (ma in queste zone alto-lombarde il fenomeno ha avuto una consistenza decisamente minore).
L'amico medievista Marco Gerosa, che ha origini malghesi per parte di madre, mi segnalava tempo fa atti rogati da notai attivi ai tre quarti del Quattrocento nell'area alto-lodigiana, in cui comparivano membri dei casati montani degli Astori de Dossena e dei Carrara da Serina: segno che la presenza malghese tra Milano e Lodi era già un fatto ben consolidato prima che Colombo dispiegasse le sue vele nell'Oceano Atlantico. Famiglie bergamine fin dal Quattro-Cinquecentoraggiungevano addirittura l'Oltrepò Pavese, stanziandosi nella zona di Portalbera (così Alberto Belotti in un suo scritto del 2002, Bergamaschi, bergamini) e realizzando una singolare giuntura migratoria tra i mondi piuttosto distanti geograficamente, socialmente e culturalmente delle valli prealpine e della pedemontana appenininica.
Il mondo malghese, non meno di quello dell'agricoltura di pianura, era economicamente e socialmente stratificato: la maggior parte dei bergamini possedeva infatti mandrie di non più di cinque capi, che solo in autunno, per riproduzione, aumentavano a sette/dieci capi a seconda delle annate. Soltanto un'esigua minoranza - l'élite delle famiglie malghesi, si potrebbe dire - controllava un capitale animale di 70/100 bestie, oltre a possedere pascoli, boschi e immobili alpini: e chiaramente costoro nelle possessioni del piano pavese, milanese, lodigiano, cremasco andavano a interagire con le proprietà e gli imprenditori fittabili maggiori, che detenevano o gestivano i latifondi di più vasta estensione. Erano proprio queste aggregazioni familiari più dotate di bestiame, attrezzature e denaro, in genere, che in alcuni casi riuscivano a fare il salto di qualità e (specialmente dal XVIII secolo) entrare nel novero degli imprenditori fittabili, assumendo in toto la conduzione di aziende della pianura. Col primo Novecento e la fine dei rapporti agrari tradizionali, famiglie di estrazione malghese pervenivano anche alla proprietà della terra e degli immobili. Alcune delle maggiori dinastie malghesi erano, ad esempio, gli Arioli di Piazzatorre e Mezzoldo (alta Val Brembana), gli Invernizzi di Morterone (Valsassina) e i Papetti di Foppolo (alta Val Brembana).
Esemplare è poi il caso del ramo dei Cattaneo di Valleve, da cui sarebbe disceso il grande poligrafo e filosofo politico milanese Carlo Cattaneo (Milano 1801-Lugano 1869). Trasferitisi nel Pavese e nel Milanese sud-occidentale ai primi del Settecento, muovevano appunto dal piccolo borgo montano di Valleve, alta Valle Brembana, dove le fonti d'archivio tracciano la loro presenza continuativa dal XIII al XVIII secolo, qualificandoli come proprietari di beni e di bestiame. La discesa in pianura aveva significato per loro l'ascesa sociale (da malghesi a imprenditori fittabili), fino addirittura all'ingresso nella borghesia milanese di fine Settecento (il padre di Carlo Cattaneo, Melchiorre Cattaneo, era un abile orefice). Della storia dei Cattaneo di Valleve migrati a Certosa di Pavia, Casorate Primo e Milano si è occupato in un bel volume del 2012 (Le radici di Carlo Cattaneo. Storia di una Famiglia da Valleve alla Bassa Milanese) il saggista lodigiano Natale Arioli, tra i maggiori studiosi del mondo malghese insieme al mio amico, parimenti lodigiano, Giuseppe Pettinari. Parabola ovviamente d'eccezione almeno nel suo sviluppo (un intellettuale di spessore europeo tra i maggiori che l'Italia possa vantare, aveva alle spalle una lunga radice malghese), quella dei Cattaneo: mentre la maggior parte delle “storie” malghesi sarebbe rimasta sempre, in montagna come in pianura, nell'ambito dell'economia e della società a base agricola e zootecnica.
Una frazione consistente dei malghesi in pianura si specializzava nella lavorazione del latte e dei suoi derivati, fornendo alla filiera lattiero-casearia figure e ruoli professionali assai richiesti e reputati. Si può dire che la protoindustria prima, l'industria lattiera e casearia della pianura lombarda centrale poi siano state create e sviluppate da famiglie originarie della montagna bergamasca e lecchese. I malghesi transumanti erano suddivisi in vere e proprie dinastie, dove i cognomi (cui spesso si univano dei soprannomi distintivi) indicavano sempre in modo preciso l’origine geografica dei vari ceppi. Al di là dei classici, ma generici cognomi di provenienza quali Bergamaschi, Brembilla o Brambilla (quest’ultimo non specifico del mondo malghese, a dire il vero, ma più diffusosi nel Vimercatese e nella Brianza orientale) alcuni cognomi oggi ben radicati anche nel Sud-Est Milanese e nelle zone contermini indicano la pressoché sicura origine malghese delle famiglie che distinguono; tra questi, vi sono, ad esempio: Ambrosoni, Annovazzi, Arioli, Arrigoni, Astori, Barbaglio, Berera, Bettinelli, Boffelli, Bonetti, Calvi, Carrara, Cattaneo, Cazzaniga, Cornalba, Danelli, Devizzi, Dossena, Garbelli, Gimondi, Goglio/Goi, Gusmaroli, Invernizzi, Locatelli, Magenes, Manenti, Manzoni, Merini, Midali, Migliorini, Milesi, Monaci, Orlandi, Papetti, Politi, Rebuzzini, Riceputi, Salvini, Santi, Sauri, Scorletti, Stracchi, Tiraboschi, Valsecchi, Valtorta, Vitali. Non sono invece riconducibili all'ambito malghese cognomi di estrazione basso-brembana/brembillese quali: Carminati, Pesenti, Pisoni, Stefani. Anzi, tutti e quattro costituivano, in origine, le radici più diffuse del già accennato cognome toponimico de Brembilla (= Brambilla, Brembilla).
Coloro che hanno una buona conoscenza del mondo rurale basso-milanese/lodigiano/pavese o lo hanno studiato sulle fonti (archivi di Stato, archivi civici, archivi parrocchiali, registri di cascina, eccetera) ben sanno che non pochi dei cognomi suelencati nel Sette-Otto-Novecento sono passati a connotare alcune delle principali dinastie di fittabili a denaro delle proprietà nobiliari o dei grandi enti ecclesiastici e morali cittadini, indicando chiaramente l’avvenuto processo di migrazione definitiva e di stabilizzazione socio-economica che aveva investito queste famiglie, sradicandole però dall’ambiente montano. In altri casi, invece, il legame tra il monte e il piano - fondato sulla pendolazione stagionale e sulla doppia residenza - è proseguito a lungo, mantenendosi vivo anche nel Novecento inoltrato. Non sono poche le famiglie di origine malghese specialmente nel Sud-Est Milanese e nel Lodigiano che, pur essendo stanziate in pianura da lungo tempo, conservano legami affettivi e di frequentazione (e non di rado anche patrimoniali e abitativi) con la montagna.
Quindi, una porzione dei malghesi transumanti bergamaschi era rimasta fino a Novecento inoltrato a far parte della “popolazione mobile” che oscillava annualmente tra la montagna e la pianura; una parte non piccola si era invece milanesizzata (o lodigianizzata, o pavesizzata) stabilmente, diventando una porzione assai significativa di quell’operosissimo circuito che ruotava tra le possessioni dell’irriguo seguendo i ritmi degli affitti a denaro e delle investiture pluriennali. Chi ha ricostruito sui documenti il profilo storico di terre della Bassa milanese e laudense sa tutto il peso sociale che hanno avuto qui, nel tempo e negli spazi del lavoro agricolo, le genti discese nei secoli dagli alpeggi delle valli bergamasche e lecchesi.
Oggi, i pronipoti dei malghesi orobici sono per lo più imprenditori agricoli di pianura, che conducono le loro aziende con criteri e tecnologie moderne. Mentre una quota non residuale dell'eredità malghese nel corso dei secoli si è disciolta nel sistema economico, sociale e demografico della pianura, perdendo la connotazione originale: a testimoniare la radice montana, rimangono in questo caso solo i cognomi tramandati alla discendenza, ma non più le professioni tipiche dei bergamini.
In alcuni casi, può avere parziali radici malghesi anche chi non porta un cognome malghese. È il mio stesso caso: mio padre discendeva due volte da un ramo Calvi dell'alta Val Brembana che nel primo Seicento si era stanziato in pianura a Monastero di Basiano, microscopica località rurale tra Gorgonzola e Trezzo sull'Adda; vi appartenevano due delle sue trisnonne, Teresa Calvi (bisnonna di sua madre) e Rachele Calvi (bisnonna di suo padre), nate nella zona (a Basiano e Grezzago) nel 1792 e 1796. E discendeva anche dai Cattaneo, famiglia stanziata nel Settecento a Cornate d'Adda, ma pressoché certamente una diramazione del tronco alto-brembano radicato a Valleve (era sua ava in quinto grado Caterina Cattaneo, di Cornate).
Quindi, antiche e salde connessioni tra economia alpestre e agricoltura di pianura, ma anche eventi politici (l'assimilazione veneziana della montagna bergamasca nel 1428-29) e persino pandemie hanno spostato per secoli contingenti non piccoli di individui dalle valli bergamasche alla pianura: e oggi nel Milanese orientale e meridionale anche chi non ha cognome anagrafico malghese può avere remote radici malghesi (ovviamente senza esserne a conoscenza, se non ha svolto o commissionato ricerche archivistiche scientifiche sulla genealogia familiare).
La malga prealpina è stata dunque la dimora degli avi di una porzione non piccola degli abitanti della pianura lombarda e del loro capitale più prezioso, a cui erano ancorate le loro vite e le loro fortune: i capi di bestiame bovino.